È LA SCARPA CHE FA IL DISSENSO

La Stampa n. 5/2009

Dopo aver navigato nelle alte sfere della freudiana simbologia sessuale, le scarpe sembravano scadute alla normalità della valenza estetica. Ma, oggi, le rinomatissime faccende di Muntazer al Zaidi e Bush a Baghdad, di uno studente di Cambridge e il primo ministro cinese Wen Jiabao, di un innominato di Stoccolma e l’ambasciatore israeliano Benny Dagan, hanno conferito alle scarpe la loro dignità semantica nella rappresentazione dello sprezzante dissenso. Come è evidente dal clamore mediatico, indipendentemente dall’uso, se ne continueranno ad avvantaggiare i calzolai, i maestri inglesi del cuoio, i ciabattini, i tomaisti di Case Reali. Così vanno le cose della vita. Da una parte i maleducati contestatori scalzi e, dall’altra, i malcapitati obbiettivi con la loro scarsa innocenza, il loro briciolo di arroganza, il loro macigno di inopportunità.
In un mondo in cui la comunicazione si arricchisce di strumenti, perde potere la sua unità di misura fondamentale che è la parola e diventano importanti e concepibili alcuni gesti che avremmo voluto fossero relegati, semmai, all’intimità delle mura di casa. E invece no. Lo sfregio della scarpa lanciata è stato applicato in una sede diplomatica e in un paio di aule universitarie… per ora. La volgarità non sta tanto nell’inosservanza di una minima decenza da galateo quanto nel non saper riservare alle occasioni meritevoli comportamenti «eleganti» di superiorità culturale e etica. Su YouTube, la scarpa che volteggia rivoluzionaria e patetica, fa il giro del mondo e sembra poter infiammare i feticisti protestatari. Vedendo e rivedendo a dismisura i filmatini vorremmo convincerci all’applauso. Personalmente non ci riesco. Nell’interpretazione più benevola e nella similitudine più azzardata, potremmo attribuire a questi atti il valore di moderni tentativi risorgimentali con una revisione e un aggiornamento di metodo rispetto all’ironia del Sant’Ambrogio di Giusti e alla solennità del coro del Nabucco.
Più realisticamente attribuisco al lancio delle scarpe il ruolo di un triviale sfogo a scadente penetrazione simbolica e addirittura nullo effetto fisico. Almeno prendere bene la mira per una guaribilissima lacero-contusione. Mi soccorre in questo convincimento una poesia composta in onore del giornalista iracheno dopo le schivate di Bush: «… anche le scarpe non hanno voluto baciarlo…». C’è più espressione spregiativa in queste parole che in mille calzature che avessero potuto stampare la loro impronta sul presidenziale faccino.

Generic filters
Exact matches only
Search in title
Search in content
Search in excerpt
Filter by Categorie
Articoli
Anni 1950
Anni 1960
Anni 1970
Anni 1980
Anni 1990
Anni 2000
Anni 2010
Anni 2020
Dicono di lei
Mina Editorialista
La Stampa
Liberal
Vanity Fair

1 Febbraio 2009

LEGGI ANCHE

Vanity Fair n. 6/2015

Ci siamo detti tutto Ci siamo detti tutto. Mi avete portato parole e storie di vita, sperando che ad accoglierle ci fosse un sentimento vagamente materno. A volte lo è stato, quasi per un senso di immedesimazione. Altre volte, se è prevalso il mio carattere tranchant,...

leggi tutto

Vanity Fair n. 5/2015

C’è ancora spazio per i sogni? Cara Mina, in questo tempo di crisi nera la venticinquesima maratona televisiva di Telethon, sulle reti Rai, conclusasi il 14 dicembre 2014, ha permesso di raccogliere 31,3 milioni. Tu che idea ti sei fatta di questa cosa? Guglielmo Dico...

leggi tutto

Vanity Fair n. 4/2015

Un presidente della Repubblica speciale Cara Mina, ogni volta che sono in macchina con il mio ragazzo e mettiamo “Acqua e sale”, cominciamo a cantarla. Ma prima lui mi ricorda: “Ok, parti tu, però io faccio Mina”. Rido come una pazza e penso a che cosa penseresti se...

leggi tutto

Vanity Fair n. 3/2015

Sono l’ultima dei sognatori Cara Mina, mentre c’erano i funerali di Pino Daniele, i ladri hanno scassinato la porta della sua casa in Toscana. Gli affari non si fermano mai. Sbigottita Facciamo finta che fossero due, tre quattro, non so, estimatori del talento puro di...

leggi tutto

Vanity Fair n. 2/2015

Ma amore non vuol dire social network Cara Mina, come stai? È guarita la tua gamba, infortunata l'anno scorso? Camminando per Milano mi è venuta un'idea. A volte in città s'incontrano ragazzi che suonano per strada o in metro, e alcuni sono davvero bravi. Suonano...

leggi tutto