11.11.1985

Mazzini, chi era costei?

di Roberto D'Agostino - L?Espresso


Anna Maria Mazzini, detta in arte Mina, ha adesso quarantacinque anni. Vive a Lugano in Svizzera oppure in Lombardia, la vita schiva e schizofrenica di sempre. E? sfuggente e ipocondriaca, segreta e "fuori taglia". Pesa quanto Milva e Ornella Vanoni messe insieme. E purtroppo la Tigre di Cremona (ma nata a Busto Arsizio) ha accolto con sgraziate maniere le sue misure "oversize" registrate dalla Terraillon nell?ultimo decennio: niente concerti, stop alle interviste e servizi fotografici, basta con le apparizoni televisive. Nemmeno (o quasi) in copertina dei suoi dischi è voluta apparire. Che peccato! Mina non ha capito l?importanza di essere grassa. Non ha capito che la donna in carne è un corpo voluttuoso, canta meglio, ha un carattere migliore delle magre. Nel pianeta della musica (jazz, lirica e leggera), è tradizione che "grassezza fa belleza".
Per chiarirsi le misure, basta pensare alla prorompente pinguedine di Ella Fitzgerald, al culone rettangolare di Sarah Vaughan, al fianco puntellato da stecchetubi innocenti di Aretha Franklin, ai seni a davanzale, vere e proprie tette panoramiche di gran parte delle dive della lirica.
L?assenza di Mina da un qualsiasi palcoscenico dura esattamente da sette anni (1978, Bussola di Viareggio) e la sua presenza attiva si limita tassativamente a un doppio album pubblicato in prossimità dei regali e delle tredicesime natalizie. Un appuntamento extra-corporeo, vinilitico e fantasmatico che lega da molti anni l?elusiva cantante al suo immobile pubblico; un rendez-vous che pone gli appassionati utenti seduti a un immaginario giradischi a tre gambe, attenti a rimettere in circolazione la magiore vocalista italiana, la voce feminile per antonomasia.
Genio vero della musica popolare, in senso proprio, non nel senso di "pop" né di "proletario", inventrice di un look irresistibile mescolante energia, entusiasmo, sessualità e autoparodia di stile gay, incosciente simbolo dell?insofferenza giovanile per il perbenismo "cheap" di Nilla Pizzi e Carla Boni, Mina ha ormai imparato a separarsi dal corpo di quel passato, immobile nella memoria della gente, che fa da sfondo incancellabile alla sua persona. C?è chi la ricorda per i grandi occhi de-sopracigliati e le polpose cosce di "Studio Uno", c?è chi la ricorda a causa di "E se domani" o di "Le mille bolle blu": naturalmente come se fosse morta. Perché in Mina, l?immagine ha sempre preceduto il suo allettante talento.
Il vizio impunito di sottrarsi agli spot e di credere che cantare sia soltanto allineare un mucchietto di canzoni su solchi da mandare a 33 giri al minuto e non ritmo del corpo, vige incontrastato pure nella sua ultima fatica, "Finalmente ho conosciuto il conte Dracula". Ricanta con didattica emozione una scorpacciata di collaudati "classici" contemporanei (da "Just the way you are" di Billy Joel a "Eppur mi son scordato di te" di Battisti-Mogol), ma c?è solo il gusto del souvenir fine a se stesso, un?operazione di maquillage e di compilation. Il risultato è ancor più eccepibile quando Mina canta le canzoni nuove, perché i brani e l?impianto musicale appaiono privi di sintesi e obsoleti. Per questo, arrivati all?ultimo microsolco, si rimane convinti di aver ascoltato il "vuoto", il birignao di un fantasma, il catalogo di un busto marmoreo. (Come, in fondo, prefigurava il suo cognome: Mazzini).

Roberto D'Agostino



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