24.03.1990
Due articoli di Gino Castaldo e Anna Bandettini
La Repubblica
AUGURI MINA. Mezzo secolo è un bel fardello di anni da portare per chiunque. Di quelli che fanno pensare al?opportunità di tentare piccoli e grandi bilanci di vita. Forse lo farà il comune di Busto Arsizio, dove Anna Maria Mazzini è nata, esattamente cinquant?anni fa, magari inaugurando una strada cittadina col suo nome o un bel monumento alla canzone; dovrebbe farlo certamente la Rai che però non ha l?abitudine di concepire delle "personali" dedicate ai grandi personaggi dello spettacolo. E pensare invece che bel modo di festeggiare questo compleanno sarebbe un?intera serata tutta dedicata alla ricostruzione del personaggio. Nella sua storia c?è tanto dell?Italia di questi anni da permettere qualsiasi digressione. Perfino nell?attuale riserbo, in questo cocciuto esilio dalle scene, potremmo leggere significati reconditi. Se lo festeggerà o meno la stessa Mina, questo non è dato saperlo. Ma un piccolo bilancio di questi cinquant?anni proviamo a farlo.
L?arrivo di Mina nella canzone italiana fu una specie di ciclone, ma non è affatto vero che si capì subito la portata del suo talento. Si presentò col nome di Baby Gate (e il Gate si riferiva al Golden Gate Quartet, uno dei più celebri gruppi vocali americani), con tutta l?energia che allora poteva esprimere la provincia, ma con malizie tutte internazionali. Incuriosì mezza Italia coi suoi singhiozzi, con gli occhi sgranati da felici stupori giovanili, le gonne a palloncino e una serie di quadretti vagamente surreali. Fu ritenuta aggressiva, erotica (considerando il moderato perbenismo di allora), travolgente, e tutto sommato il cambio di pseudonimo da Baby Gate a Mina non fece che confermare queste impressioni. Questa ragazza sembrava proprio determinata a proporsi come miscela esplosiva, anche se molte di queste impressioni sono state in seguito soppiantate dal grande carisma di interprete.
LA FAVOLA DI UN INCONTRO
Perché si cominciasse a capire chi era veramente Mina si dovette spettare il 1960, e in particolare una canzone, ovvero "Il cielo in una stanza". E? uno dei momenti più importante per la storia della nostra canzone. Si è molto favoleggiato sull?incontro tra Mina e Paoli. Da una parte la trasgressiva, scoppiettante, pirotecnica urlatrice, dall?altra lo scontroso, ombroso cantautore, antidivo per eccellenza. Cosa avevano da dirsi? Narra la legenda che Mina non amò immediatamente il pezzo, anzi. Ma che ne fu avvinta indissolubilmente quando per la prima volta lo ascoltò direttamente dalla voce di Gino Paoli. E lì fu amore a prima vista. Ecco di cosa era capace Mina. Altro che trilli giocosi, immagini surreali,e rock?n roll all?italiana. Mina, benché allora solo ventenne, capì il grande fascino della canzone d?autore e riuscì ad ammaliare con essa tutta l?Italia. Fu una svolta fondamentale. Ed è da questo momento che la sua strada di grande, anzi della più grande interprete italiana, comincia ad essere segnata.
Come tale crebbe a ritmi vertiginosi provocando giudizi rimasti famosi come quello di Michele Galdieri: "quella ragazza ha un?orchestra in gola", e nel contempo divenne una delle pi mate protagoniste della televisione. I suoi duetti, fossero con Totò, Mastroianni, oppure con Celentano e perfino con Lucio Battisti, sono rimasti memorabili, come pezzi di storia dai quali il nostro spettacolo non può prescindere. Ma ci sono altri momenti che possiamo ritenere fondamentali.
Uno di questi fu quando gli impresari americani sbarcarono in Italia offrendole su un piatto d?argento il successo in America, e quindi nel mondo. Mina disse di no, decidendo in quel momento gran parte della sua vita successiva, e rimanendo, paradossalmente, un mito esclusivamente italiano, forse troppo grande per rimanere ristretto nei nostri confini, ma relegato a questo forse della sua paura, forse dalla sua voglia di rimanere a casa, di non affrontare qualcosa che forse avrebbe definitivamente stravolto la sua vita. Noi tutti abbiamo perso forse l?unica occasione di orgoglio internazionale in campo canzonettistico, Mina dal canto suo ha anticipato di qualche anno la riservatezza di oggi.
E poi c?è quell?ultima traccia. Quel concerto d?addio alla Bussola del 1978. Immagini che abbiamo visto e rivisto un?infinità di volte e che hanno congelato nel tempo la sua immagine. Era una Mina straordinaria, matura, altissima, capace ormai di qualsiasi prodezza tecnica, ma anche di un sottile e malinconica profondità che rendeva le sue interpretazioni assolutamente imperdibili. Fu il suo concerto d?addio, e guarda caso, per gli amanti delle coincidenze, proprio lì Mina aveva esordito per gioco, o per scommessa, esattamente vent?anni prima. Anche lei, dunque, non sembra del tutto esente dal fascino delle ricorrenze simboliche.
<STRONG>Ci faccia un bel regalo </STRONG>
E allora che dire di questo compleanno, di questi importanti cinquant?anni? Forse tutti aspettano un gesto, un segno che riporti Mina tra di noi, al di là di questo ormai consunto rituale che dura da dodici anni, in base al quale ogni anno esce il solito disco doppio col quale Mina provoca il suo grande pubblico. Minimo sforzo, massimo risultato. Ma il mondo sta cambiando. Succedono cose impensabili solo fino a qualche mese fa. Possibile che solo questo suo testardo diniego rimanga inalterato?
E allora ci permettiamo di esprimere un desiderio. Per questo cinquantesimo compleanno, Mina, perché non fa un regalo al?Italia? Ed è inutile dire di che regalo si tratta.
Gino Castaldo
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Quando il regista incontrò Mina
<STRONG>Strehler:la volevo ma fu un progetto mai realizzato </STRONG>
intervista di Anna bandettini
MILANO- "Ah, che matta! Che magnifica matta, la Mina ? sbotta Gorgio Strehler allegramente, con un sorriso ? Chissà, magari è per questo che mi è sfuggita di mano". Già, perché quasi per caso, viene fuori che il celebre regista e la grande cantante avrebbero dovuto lavorare insieme. "Sarà stato venticinque ani fa, forse di più, non ricordo esattamente. E mi pare fosse in occasione di Mahagonny alla Scala. Mina la conoscevo già come cantante. Da quando aveva cominciato la ammiravo molto e avevo seguito anche i suoi cambiamenti, la sua maturazione".
"Probabilmente siamo entrati in contatto per via di Corrado Pani, che in quel periodo lavorava con me. E deve essere stato durante un dopoteatro, in un locale qui a Milano: parlavamo tutti e tre assieme e io le dissi un po? così, buttandola lì, ?Potresti fare qualcosa di diverso con la tua voce. Possiamo vederci". Lei era molto interessata, "Giorgio, mi piacerebbe tanto", rispose. Fu dopo che cominciò a mostrare un po? di timori e in seguito venne anche fuori, senza che nessuno lo sapesse, che aspettava un bambino. Il nostro progetto finì lì. Prima ancora di cominciare. Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori?.
Giorgio Strehler lo racconta con una certa tenerezza, ma senza rimpianti. Al contrario di Milva, di Ornella Vanoni, con cui ha lavorato, artiste, anzi, che ha formato, e qualcuno dice trasformato, Mina resta per lui "un temperamento interessante", "originale", ma pur sempre una donna lontana, una conoscenza occasionale. "Questo sul piano personale. Perché, sia chiaro, io la Mina la conosco bene. Ho sempre seguito il suo lavoro e ancora oggi ascolto i suoi ultimi dischi. E? la mia curiosità: un intellettuale, un uomo di teatro deve saper vedere fuori dal proprio ambito. E poi via., non verrà a dirmi che nella vita di ognuno di noi non c?è stata una canzone che ha accompgnto anche solo un momento".
"La mia vita non è stata tutta Shakespeare o Brecht. Anzi, c?è stato un periodo in cui Mina ha accompagnato il mio lavoro, le mie letture, come quando si ascolta un disco mentre magari si legge o si fanno altre cose. Se dicessi che certe canzoni di Mina, che so, Il cielo in una stanza, fanno parte del tessuto della mia vita, non direi una bugia. Ma gli incontri veri, quelli che hanno marcato anche il mio lavoro, sono stati altri".
Milva, ad esempio. Lo sa Giorgio Strehler che tra queste due grandi cantanti italiane, ai tempi, non correva buon sangue o almeno così si diceva?
"Milva non me ne ha mai parlato. Non so niente. Comunque cosa vuloe, sono due artiste differenti. Milva la conosco benissimo, e la sua cosa più splendida, oltre alla bravura, alla voce, è l?accanimento, la determinazione che ha messo nella sua voglia di maturare, di cambiare. Mina, mi pare, ha fatto tutt?altro di sé e della sua vita".
Da suo ammiratore (ma nel ?69 fu anche suo promotore, almeno indirettamente, quando al Teatro Lirico, per il cartellone del Piccolo Teatro ospit un doppio recital di Mina e Gaber che ha fatto storia), Giorgio Strehler apprezza soprattutto l?eccezionalità, la sua originalità per un paese come il nostro. "In Italia siamo pieni di cantanti telefonati. Sì, tutti a imitare un genere, oppure Frank Sinatra, Barbra Streisand. Tutto finto. Mina invece non
Ha mai copiato nessuno. Ha cercato di essere se stessa anche quando aveva cominciato con l?aria della giovane esordiente un po? sfrontata. Chiaro, chiaro che la sua forza è la voce, ma soprattutto il modo come l?ha usata. Lei ha spaziato su tutti i registri, dal basso all?acutissimo, e siccome non è una cantante lirica se lo può permettere e con questo continua ad affascinarci".
L?avrebbe trasformata Giorgio Strehler se avesse lavorato con Mina? "No. Cosa vuoi trasformare. L?ho vista in televisione, nelle vecchie immagini in bianco e nero di antichi spettacoli, con quei suoi orpelli, con quegli abiti che oggi ci paiono orribili? Eppure a lei sono sempre stati bene. Adesso non so più come è. Ma anche questo fa parte del suo mistero, della sua personalità, se non sfuggente almeno molto particolare. Ha deciso di far figli, di mandare all?aria il mondo della canzone. Ha deciso di ritirarsi, magari anche dal proprio cliché. Forse non sono scelte difficili, ma sono sintomi di una certa personalità. Come amiratore, io dico che avrei voluto vederla ancora; come regista, magari, mi sento più vicino a un?artista che invece lotta fino ala fine, che espone di sé anche l?imagine della vecchiaia. Ma questi sono discorsi. Mina ha vissuto. Come rimproverarglielo?"
Anna Bandettini