Mina e Piero Pelù: o della trasgressione. Mina che a diciott'anni implode all'interno di una educazione borghese ed esplode lanciando acutissime, penetranti schegge che si conficcano in profondità nel fianco della musica leggera italiana, trasgredendone le coordinate. Piero Pelù, portatore di uno statuto musicale e ideologico che aggrediscono e trasgrediscono il sistema. In “Duo”, l'album che raccoglie i duetti di Mina con altri artisti, Mina invoca “stay with me” e Piero Pelù, come le si rivolgesse da un antro infernale le replica “...tieni la testa ferma sopra il ceppo bella signora...”.
Ed eccolo lì, sul palco dell'Alcatraz, il Toro Loco infernale ma solare, il provocatore trasgressivo e pacifista, che spedisce belli diritti diritti i suoi “fluidi” alla platea che glieli rimanda recepiti e metabolizzati come tanti “grazie di esserci, qui, per noi, adesso e poi ancora e ancora”. Piero Pelù sta snocciolando uno dopo l'altro i suoi “hit”, e il pubblico gli risponde, ogni individuo gli risponde, concertandosi con tutti gli altri, in quel processo di aggregazione che sono i concerti che riescono bene. Anche stasera, Piero Pelù, reduce da una laringotracheite che avrebbe scalzato e messo in ginocchio ogni sia pur potente demone malvagio, ma che sembra non avere nemmeno sfiorato la sua forza positiva, è perfettamente all'altezza di tutto ciò che promette e fa sperare un appuntamento con lui. Ci avvolgono come fisioterapie rigeneranti le ondate del Rock Mediterraneo di “Toro loco” e di “Stesso futuro”. Il grande fuoco, il “mefistofelico” fiorentino apolide, ad ogni brano produce tonnellate di quell'incredibile collante che salda tra loro le cellule sparse che formano un pubblico, una platea di 3, 5, 6, 10 mila persone e che si può chiamare sia buona musica che buone idee e buoni messaggi. Una benefica alchimia che, di solito, quando assodata, si riassume col nome di chi tutto questo può garantirlo, costantemente. In questo caso, col nome Piero Pelù. Esausto, ma felice, con l'aria di uno premiato. Dagli altri e da se stesso. Siamo già al giorno dopo; incontro Piero Pelù nel suo hotel milanese.
L.Cerri - Salve, Piero. Contento? Come va la gola? L'altro giorno, perfino al telefono scottavi di febbre e sembrava che per un bel po' non avresti avuto fiato nemmeno per dire ciao... e ieri sera... diabolico o cos'altro? Tu mi parlavi di cortisone, ma i risultati mi sono sembrati quelli della pura forza.
Soddisfatto?
P.Pelù - Molto. A questa minitournée ci ho tenuto tantissimo. Perché ho recuperato le mie radici musicali. Ho rimesso insieme un filo che si era abbastanza sfilacciato e che è quello appunto col mio passato musicale. Naturalmente, quando esci fuori da una separazione dura, triste, come tutte le separazioni, del resto, come quella che ho vissuto io con i Litfiba, più esattamente “col nome” Litfiba, non avevo molta voglia di mettermi a scavare nel mio passato musicale. In una canzone che si chiama “Io ci sarò” dicevo “mi vesto da assassino col mio passato”. Ed era un verso perfetto per quel periodo. Ora uso l'imperfetto quando canto quel verso dal vivo. E mi rendo conto che, effettivamente, anche le canzoni sono molto legate al periodo in cui vengono concepite... ... e quindi a volte hanno bisogno anche di essere reinterpretate, nel significato e nella forma.
L.C. Adesso, allora, hai di nuovo stretto in pugno il capo di quel filo?
P.P. Diciamo che ho finalmente ricongiunto i due capi del filo. Con tutto che da “Desaparecido” dell'85 a “UDS” del 2002, ci sono tanti anni, ci sono undici album di differenza, ci sono centotrenta canzoni di distanza, decine di migliaia di chilometri di tournées. Però tutto questo è stato ricondotto allo stato desiderato, e naturale, sotto la volta celeste del Med Rock. Il che, per me, conferma ciò che penso da sempre... ...e che cioè la musica dimostra sempre di essere al di sopra delle piccolezze umane, dei sentimenti di rivalsa, delle piccole o grandi incomprensioni. Con la musica si riesce ad unire cose che apparentemente sembrano lontane. Non è un caso che io abbia scelto questa formula Med Rock, cioè Rock Mediterraneo, laddove due culture più opposte non potrebbero esistere: il Rock è pienamente anglosassone, aggressivo, tendente al nichilismo, elettrico. E la mediterraneità è invece più dolce; anche se poi, naturalmente, arriva a delle profondità che scavano nell'anima.
L.C. Ci sono tempi e meccanismi di metabolizzazione diversi.
P.P. Esatto. Insomma, volendo andare giù semplici semplici: credo che anche il clima giochi un ruolo non indifferente sull'umore, o sul “mood”...
L.C. Sono con te. Certo che, tu ed io, quanto a mediterraneità, a guardarci non dobbiamo lasciare dubbi: sembriamo più arrivati diritti diritti da una merendina tra le dune che non da un tè inglese o da una cocktail svedese.
P.P. (ride) In Toscana, abbiamo radici fortine...
Altro che maledetti Toscani! Siamo rimasti Etruschi nonostante duemila anni di matrimoni con turisti di ogni paese!...
L.C. Qualche anno fa, non ricordo quale ricercatore tornato da non so quale futuro o chissà da dove, grazie a esami del DNA effettuati su popolazioni mediorientali e salme etrusche e toscani con radici genealogiche molto profonde, sosteneva che gli Etruschi sarebbero arrivati dal Medioriente, per sfuggire ad una carestia, alteri, scicchissimi e snobbissimi (un po' a naso ritto, insomma, come a volte siamo noi Toscani), portandosi dietro gioielli di squisita fattura e tradizioni di raffinata eleganza, facendo varie tappe in isolette della Grecia, passando per la Sicilia, e ingannando il tempo standosene sdraiati su triclinii da viaggio giocando una specie di back gammon con pedine d'argento per distrarsi dai morsi della fame e non consumare energie... per arrivare poi in Toscana, appunto, etc etc... Fantastica che sia, sembra una tesina che potrebbe reggere...
P.P. (risata) Beh!... di finlandesi, devo dire, ne ho conosciuti di bei fuori di testa! Al contrario di quanto si potrebbe pensare, sono molto caldi per essere così nordici. Forse è la fascia del centro nord europeo che è un po' più tiepidina, quella più laboriosa, più “correct”, più attaccata al metodo. Che poi , comunque, al momento giusto, bella puntuale, dice bene la sua in fatto di cose importanti: che la Francia e Germania si siano apertamente schierate contro la guerra, è un bel fatto. Poi, vai a sapere in realtà, magari, per quali interessi economici... dolorosa anche come sola ipotesi... però, di fatto, restano fautori di una linea che se fosse veramente comune a tutta l'Europa potremmo essere tutti un po' più tranquilli.
L.C. E il pubblico italiano da Roma a Torino?
P.P. Fantastico. Hanno risposto in modo fantastico. Anche ieri sera qua a Milano è stato grande. Ah!, una cosa stupenda, una cosa interessante, qua a Milano, l'ho vista anche per strada, come “uomo della strada”, l'ho detto anche al concerto: ho visto una facciata di un palazzo dove al quarto piano c'erano due bandiere della Pace coraggiosamente esposte. L'inquilino del piano di sotto aveva messo una enorme bandiera italiana che poteva anche sapere di polemica nei confronti delle altre. Grande, poi, un terzo inquilino che ha sistemato ogni eventuale polemica o dubbio: ha preso la bandiera della Pace, ci ha cucito insieme quella italiana e le ha messe al suo balcone.
L.C. Un microcosmo condominiale piuttosto vivace. Una bella dialettica, per una facciata.
P.P. (risata) Non oso pensare alle riunioni condominiali di quel condominio... sicuramente spiazzanti... Però devo dire, a livello di simboli, a proposito di Milano “città campione”, mi sembra un grande esempio. Anche se a Milano la gente mi è sembrata più sotto pressione che da altre parti. L'ho notato durate i concerti. Ieri, qua a Milano, quando ho parlato di Pace, ho visto le persone del pubblico reagire con le facce serie. Non c'era gioia nei loro sguardi ma più preoccupazione. Mentre a Torino, Padova, Roma, Firenze, alla parola Pace era un'esplosione di gioia, solarità, esultanza, gioia per il principio morale anche solamente evocato dalla parola “Pace”. Qua a Milano, l'avrai notato anche tu, magari, ho sentito la pressione che può sentire un cittadino che sta vivendo una situazione politica e sociale che non lo fa essere sereno. E questo, forse, può influire anche sulla qualità della vita quotidiana. Mi dispiace, un po'... Anche se è una forma di consapevolezza molto apprezzabile... mi dispiace per loro...
L.C. Il pubblico era composito...Che mi è sembrata una cosa molto bella.. ....ho visto anche qualcuno con l'aria da “neofita”... e ciònonostante non proprio bambino... Che succede, avvii al rock anche i ritardatari?
P.P. Durante questa tournée ho notato con un piacere immenso che c'erano famiglie intere ai concerti... il bambino che viene portato dai genitori... e non è escluso che ci fosse anche il cinquantacinquenne, sessantenne col nipote adolescente... o l'adolescente con lo zio...
P.P. Era esattamente così, te lo posso testimoniare io... che ero in mezzo al pubblico formato da tre o quattro mezze generazioni... C'era perfino qualcuno più grande di me! Che avrei anche potuto avere un doppio ruolo, visto che la Mina quando le ho detto che ti avrei incontrato mi ha assicurato “Bene, ti piacerà, Pelù! vedrai, ti sembrerà di conoscere tuo fratello”... e quando ho detto a Massimiliano del nostro appuntamento mi ha detto “Vedrai, ti sembrerà di incontrare tuo figlio!”. Vedi?... sono i punti di vista che fanno le generazioni!
P.P. (ride) ...Che carini che sono, loro. Che bello che è stato incontrarli...
L.C. ...Tra poco, vedrai che cadrò a bomba sul tuo rapporto con Mina e Max... con il tuo duetto con lei in “Stay - with me -”. Tornando alla eterogeneità del pubblico, comunque, a quanto ne so, un pubblico formato da persone di tutte le età non l'hai avuto soltanto a Milano... Amici che c'erano, mi hanno detto che è stato così anche a Roma e a Firenze.
P.P. Anche a Torino... Quindi , nuovi fan - o fun, come preferisci scriverlo tu giocando sulle parole- ovunque, dappertutto.
L.C. Una bella capacità di far proseliti no-stop!...
P.P. (risata...) ...Non lo so... evidentemente... si riesce a... non so... è uno dei grandi misteri della musica... il mistero di come riesca a toccare le corde di così tante persone, anche diverse fra loro, che nella musica hanno evidentemente un comune denominatore... e poi, per tua fortuna, per tua immensa fortuna, lo trovano in te.
P.P. ...Anche per tuo “talento”, diciamo. Credi che la tua musica di adesso possa reclutare anche persone di un gusto musicale diverso da quello di chi ti ha seguito fino a due o tre anni fa, dai primi tempi, dai tempi dei Litfiba?...
L.C. Due o tre anni fa ero già da solo.. diciamo che l'ultimo periodo dei Litfiba è quello di “Infinito”, ‘98-'99, e - sicuramente per come l'ho vissuto, ma anche per come fu poi tradotto in musica - quel periodo è stato quello a cui mi sono affezionato di meno... Nonostante che in “Infinito”, poi, ci fossero due per me grandissime canzoni come “Il mio corpo che cambia” e “Vivere il mio tempo” ...che ora ho finalmente riarrangiato - per me più adeguatamente - per il nuovo spettacolo e che mi stanno dando grandissime soddisfazioni. Riguardo al tipo di pubblico... sai... quando cominci ad avere sulle spalle diciotto anni di dischi e ventidue di concerti e tournée... ...beh, posso dire di aver visto di tutto... Ho visto di tutto, sì, però, sicuramente, non smetterò di meravigliarmi di quante facce nuove possano continuare ad entrare nella tua vita... ...Che è una cosa splendida... Perché... ti immagini cosa vorrebbe dire “avere il tuo pubblico fisso” nel senso di un pubblico che si ferma lì alle tue prime esperienze? ...e che poi non vive con te evoluzioni e crisi... non diventa tuo interlocutore? Ecco, questo è quello di cui sarò sempre grato al pubblico, a coloro che mi seguono... di prendermi come un loro interlocutore, un compagno di dialogo... come un work in progress... o come si dice da noi, un loro compagno di crescita... Ti immagini continuare a fare sempre la stessa cosa? Sarebbe una noia mortale...
L.C. 21 aprile 2000. Data fatidica. L'uscita da solista con “Né buoni né cattivi”. Nelle fasi di preparazione del CD e dopo, in quel momento lì, quando si è rispalancata davanti a te la porta oltre la quale c'è il pubblico... c'è stata più paura o più entusiasmo? più necessità di affermare o di confermare?...
P.P. C'era tutto quello che hai detto e niente di quello che hai detto... Nel senso che nonostante fossero diciotto anni che ero dentro la musica, era comunque il mio primo disco da solista. Era comunque un disco importante perché era il mio nuovo biglietto da visita per chi mi aveva ascoltato fino a quel momento come leader e cantante di un gruppo come i Litfiba... e con una sola certezza... della quale ho poi avuto conferma.. e cioè la certezza che la gente si affeziona molto ai marchi, anche nella musica...
L.C. Ma è dove volevi arrivare. Ed è stati un successo, tanto più che l'operazione che volevi compiere era chiara a te, ma il pubblico non ne sapeva niente... in fondo, anche riallacciandosi a te in quella tua nuova nascita si sarebbe potuto trovare di fronte a qualcosa da metabolizzare di nuovo, totalmente... Decisamente un bello stimolo, per loro, ma anche un bell'impegno!
P.P. Io credo che a tranquillizzarli sulle mie operazioni mi abbia molto aiutato il mio pacifismo convinto... credo che sia risultato chiaro a tutti... e che li abbia un po' tranquillizzati, che abbia disteso i loro tempi di digestione del loro nuovo rapporto con me... E' poi lo stesso pacifismo che ho messo in pratica nei rapporti successivi con i miei ex... o almeno, con il “mio ex”, Ghigo... e poi con i miei ex manager... ...che, in realtà, era con loro che si era creata la situazione di crisi totale.
L.C. Evito di chiederti la verità, tutta la verità sul tuo divorzio dal marchio...Ma qual è stato un aspetto pacifico della vicenda?
P.P. Ho evitato di entrare in cause per la paternità, la proprietà del nome Litfiba... niente lotte per il patronimico... niente cause, spiacevoli lungaggini legali che avrebbero corroso l'esistenza di tutti noi. E sono veramente contento di averlo fatto. Credo che questa scelta naturale di condurre tutto più in pace possibile, alla fine sia stata un premio, una carta vincente - anche se non calcolata come tale - nella distensione del mio rapporto col pubblico... che oltretutto non è stato distratto - da pagine di cronache di guerre e battaglie legali - dal fatto principale: che è la musica!,
Questo non toglie che si sia rafforzata in me l'idea che tutti noi vogliamo dei marchi sicuri, da vivere come attestati di qualità controllata, sia quando si va a comprare il sapone che quando si va a comprare un CD, sia quando si compra un pigiama che quando si va a un concerto. E c'è da trovare il modo di fargliela avere, al pubblico, questa sicurezza, questa fiducia...
L.C. Devo dire che anch'io sono abbastanza affascinato dal tuo curriculum pacifista e di partecipazione sociale... una storia di lunga data: nel 1988, hai fatto “SOS racism”... partecipavano anche Bruce Springsteen e Ziggy Marley...
P.P. ...a Parigi... è una vena del fare Rock... farlo in una forma che in qualche modo sia legata al tempo in cui vivi...
L.C. Mina dice che “Rock, più che un sostantivo è un aggettivo”...
P.P. Sì , sono d'accordo.... credo che le mie scelte siano scelte “rock”...
Scelte che affondano le radici nel mio modo di essere, come quella, prima ancora di tutte queste belle e importanti manifestazioni, di fare il servizio civile...
L.C. Ai tempi, quasi una forma di sperimentalismo, si potrebbe dire...
P.P. Nell'83, l'obiettore aveva finalmente cominciato ad essere riconosciuto... ma con difficoltà enormi, però... e con i distretti militari che ti trattavano come un deficiente al pascolo... una burocrazia enorme... perché comunque dovevano trovarti una collocazione per i diciotto mesi canonici...
Comunque, per carità... benissimo così... avrei fatto chissà cosa piuttosto che fare un solo giorno di caserma... ne rimango convinto...
L.C. Educato all' antimilitarismo?
P.P. Direi proprio di no. Io vengo da una famiglia splendida... nel senso di una famiglia molto unita con mio padre e mia madre ancora innamoratissimi l'uno dell'altro, diversissimi tra loro e che, quindi, si completano alla grande, perfettamente... ...discutono a giornate, si infuriano come assatanati e non potrebbero fare a meno l'uno dell'altro per un minuto... ma è una famiglia di impianto assolutamente, drasticamente, ferreamente borghese... con un tracciato già ben ordinatamente predisposto per i figli... Quindi, qualsiasi tipo di percorso potesse essere leggermente al di fuori del tracciato che loro avevano già ben delineato per i figli.....
L.C. E il primo “stranguglio” con te, quando se lo sono preso?...
P.P. ...assai prima del servizio civile... Già da tre anni avevo scelto di suonare e di non finire l'Università... colpo bassissimo!... Però sono battaglie che uno deve portare avanti se fanno parte della sua crescita personale. Certo, se fossero gratuite, senza uno scopo preciso, sarebbe diverso... Ma se sono tappe di un percorso che rientra in un programma di vita, anche se decisamente alternativo e trasgressivo rispetto a quello sperato per te, non portandole avanti non faresti mai parte del mondo dell'”espressione”... Se esprimerti il più possibile è quello che vuoi, beninteso, se è quello che senti di poter fare attraverso qualcosa di molto preciso, per il quale sei pronto a lottare per portarlo avanti.... Non come gratuita dissociazione...
L.C. Beh, certo, alzarsi la mattina e, tanto per fare, subito dopo il caffè cominciare a lottare con i mulini a vento e contro tutto tanto per menare un po' di schiaffi intorno.. sarebbe..
P.P. ...Sarebbe l'inizio di un cammino dal grigiore verso un grigio sempre più scuro...
L.C. Pelù Piero! Ti ricordo che sei una stella del varietà...
P.P. E proprio di questo stavo parlando!... perché nel mondo della musica – ma il discorso vale per tutto l'ambiente, per ogni altra forma di spettacolo - ... considera un po'come va... prendi la chitarra e ti metti a lavorare, a scrivere una canzone... e il pezzo ti viene.. ma poi devi farla capire ai tuoi musicisti, ai tuoi managers, farla capire ai discografici...e poi, farla capire a tutto il resto del mondo... Ecco, tutti questi passaggi sono una catena di comunicazione, di scelte... scelte delle quali convincere gli altri... e per questo devono essere convincenti, devi essere convincente...(risata)... ed anche avere in nuce “molto da dire” e...(risata più grande) e essere anche molto convinto!!... E delle volte, ti dirò - ma scrivilo soltanto nell'intervista, non dire a nessuno che te l'ho detto – credo che si debba a volte anche bluffare e dire di avere le idee molto più chiare di quanto in realtà tu le abbia... Però va bene (ride)... Perché, perché ... perché sì, non c'è dubbio che quando tu hai votato la “tua anima” alla Dea della Musica, lei te la indica, sì, prima o poi, te la indica la strada. L'importante è che tu sia devoto. L'importante è essere devoto alla musica. E questo, naturalmente, e anche purtroppo, significa che se tu sei devoto alla musica, difficilmente potrai essere devoto al cento per cento a una donna. Nel quotidiano... (ride)
L.C. E qui si apre un altro bel capitolino... Evviva le pole position! Olé! Chissà come sarà contenta una qualche certa persona, ...se lo leggerà...
P.P Diciamo pure che abbiamo aperto un'altra bella porta: quella della competizione! Un bel match davvero quello tra musica-amata-te!...
L.C. Che a tratti può anche rimanere un assolo incredibile... anche, cioè, musica come forma di autoerotismo...
P.P. Accidenti!, come no!?... ben venga, ben venga la gioia, il sentire visceralmente, sensualmente, quello che stai suonando, anche in prova, anche da solo, a casa, in studio, mentre cerchi di far venire fuori il pezzo che hai in mente... altroché se può essere una storia erotico-sentimentale quella fra te e la musica!
L.C. Mi ricordo due ragazzi che ogni tanto suonavano con me. Bravissimi. Talentatissimi... e imbranatissimi con le ragazze! ... che avrebbero dato un braccio per riuscire a conquistarsene una. Ma così imbranati che, anche se qualcuna li corteggiava, alla fine, tutto finiva in niente. Meno male che tutta quell'anadare in bianco, invece che in foruncoli, esplodeva in musica, dal vivo, con una forza impressionante. Quindi diopo che avevamo suonato, di nuovo ragazze in estasi che li corteggiavano davanti al palco mentre suonavano... Il disastro era dopo, però... ...di nuovo imbranati e... tutto da capo.
P.P. Probabilmente corrisponde al periodo post-adolescienziale di avere con le esplosioni ormonali anche delle esplosioni di idee, di energie, esplosione di entusiasmi... E quando hai la fortuna di avere una devozione importante come quella per la musica... probabilmente hai risolto molti dei tuoi problemi... o hai trovato la strada per cominciare a risolverli... Io mi rendo conto che la musica, per me, ha significato la prima vera, ancora di salvezza della mia vita. E poi, più tardi, le bambine.
L.C. Con tutto che Mina mi ha detto che sei un padre esemplare, hai ritenuto opportuno rinvigorirti, rinforzarti con la musica per riuscire a decidere di diventare padre?...
P.P. (risata) ...Devo essere onesto... Nella musica ci sono entrato con tutte le mie forze. Padre ci sono diventato un po' più per caso. Succede... è curioso, ma può succedere che avvenga così anche ciò che poi diventa di colpo un fatto fondamentale della tua vita...
L.C. Ma Mina mi ha detto anche che hai un rapporto fantastico con le tue bambine...
P.P. È cara fino alla squisitezza, Mina. Ha regalato loro due tutù...
L.C. Sapeva che fanno danza, le bambine?
P.P. Mah... sì e no; glielo avevo appena accennato, mi sembra di ricordare, chiacchierando del più e del meno, in quel poco tempo in cui abbiamo lavorato per il duetto. E lei se lo è ricordato. Io non mi ricordavo nemmeno di avergliene accennato vagamente . E lei se lo è ricordato. E ha mandato loro due tutù.
L.C. Quindi due figlie future danzatrici?
P.P. Sì, ma in tutù non so... figurati che adesso la Greta, la più grande, fa danza “rap”... balla tutta roba di Eminem, hip-hop... e cose più toste..
L.C. Di questo passo, in famiglia, ti ritroverai ad essere il rappresentante della classicità, un conservatore...
P.P. (ride) Invece è fantastico!... ti danno già degli in-put!!
L.C. Quanti anni hanno?
P.P. Dodici la più grande e otto la Linda, la più piccola. Per la grande è già cominciata l'epoca delle festine, nei suoi privées, nella sua stanza. ...Sicuramente le prime scoperte sull'innamoramento, le cose belle che scopri da solo, e tutto quel putiferio che ti passa dentro quando cominci a guardare le cose diversamente da come hai fatto fino a quel momento. Giustamente. E poi, te la trovi davanti con quelle faccine che fa... che sono il modo dei ragazzi di comunicarci qualcosa... e che vogliono dire che hanno scoperto qualcosa di bello o che qualcosa li ha delusi... ed è il loro modo di dirti che ti vogliono complice... e allo stesso tempo autorità, punto di riferimento. L'unica cosa, la più importante, che vorrei, che spero, è di essere in grado di metterle in guardia sui rischi che corrono... e poi essere in grado di aiutarle a formarsi una coscienza con la quale poter affrontare qualsiasi situazione. Impresa tantopiù difficile se si considera che, sicuramente, le situazioni che vivranno loro non saranno le mie, le nostre di oggi.
L.C. Ma figurati! I nostri nipoti e pronipoti saranno diversi da noi anche geneticamente, avranno altri polmoni, forse di plastica!... e saranno bellissimi, magari, pensa, trasparenti, colorati... ...E se sarà necessario a causa delle inondazioni previste per l'effetto serra, forse avranno di nuovo le pinne al posto dei piedi, come i nostri ante-ante-antenati primi organismi viventi nel brodo primordiale... avranno un'altra grammatica esistenziale, un'altra sintassi...
P.P. Già parlano un altro linguaggio, quasi un'altra lingua. Mi spaventa vedere chi vuole figli come suoi cloni... Con tutto che sono convinto che fino ad una certa età si debba decidere per loro, assumendoci la responsabilità di scelte che loro non sono ancora in grado di fare... ...anche se questo lotta, apparentemente, contro il nostro principio di libertà di scelta...
L.C. ...che poi, se vogliamo paternalisticamente precisare, libertà di scelta non vuol dire libertà di scegliere quello che ci fa più comodo ma mettersi nelle condizioni di poter liberamente effettuare scelte anche difficili ed impegnative. Credo sia importante chiarirglielo. Ma che sto dicendo? Io non ho figli!...
P.P. (ride) ...Ma sì... Ma sì. Non saranno più le stesse situazioni. Non saranno le droghe. Chissà cosa potrà essere. Sarà tutto diverso, tutto diverso. Dovremmo essere veramente tutti molto più attenti per poterlo almeno in parte intuire, quello che potrà esserci. O almeno riuscire ad accettare l'idea che nella loro vita futura, se non tutto, molto sarà diverso. Sarebbe un modo per stare più vicini possibile ai nostri ragazzi nella loro crescita, fino al distacco da noi, anche per non trovarci come reciproci estranei, dopo.
Finora siamo andati avanti insegnando ai figli la nostra educazione alle cose, al vivere . Ma al di là di un tappeto morale, umano, che credo resisterà all'usura dei tempi, credo davvero che dovremmo cercare d'intuire quale possa essere l'educazione più adatta a loro per quello che dovranno vivere in futuro...
L.C. Ad esempio, aiutarli ad imparare ad essere sempre presenti al momento...
P.P. E certo, certo... E quella è la cosa più grande che potrebbe riuscire a fare un genitore e che anche i miei, amatissimi, nella loro grande, totale, assoluta onestà intellettuale e morale non si sono neppure immaginati... Come, in fondo, a loro nessuno aveva indicato le coordinate del mondo nel quale sarebbero vissuti. Erano già vittime di un certo conservatorismo a loro volta.
L.C. E figuriamoci i nostri nonni! Ci sono state generazioni e generazioni incanalate dentro modelli concepiti come inalterabili e consegnate ad un mondo ritenuto inossidabile, immutabile... Che poi, invece, come si è visto... ... il mondo, le società, sono cambiate, stanno continuando a cambiare non più solamente per esigenze regionali o nazionali, ma mondiali, planetarie.
P.P. Assolutamente sì. E l'importante, secondo me, è accettarlo, capirlo, aggiornarsi, aprirsi. In musica siamo fortunati, perché noi bianchi siamo perennemente all'inseguimento dei modelli dei neri... ... e questo struggerci, ammazzarci sugli strumenti, sulle voci, per riuscire ad arrivare dove questi “bastardi” che Dio li benedica! arrivano con una naturalezza di chi si sveglia la mattina ed apre gli occhi... ecco... questa, che lo sappiamo o no, è una forma di apertura, di aggiornamento ...e un aggiornamento anche molto comodo, piacevole: in quanto spontaneo... Sì siamo fortunati, noi della musica. Ed ecco perché io, appena posso, vado in Brasile.
L.C. In Brasile! L'hai detto tu! Un trasloco... da “Paname” a “The girl from Ipanema” di “UDS” ; una sorpresina... o cosa?
P.P. Naturalmente non c'è un legame. Sono due momenti molto diversi della mia vita. “Paname” venne fuori dopo un lungo periodo vissuto a Parigi... con tre quarti del mio cuore parcheggiato lì, perché allora c'era un fermento musicale grande, perché ci trovavo tutto quello che allora non riuscivo a trovare in Italia, sostanzialmente... e quindi, tra le ricerche musicali , naturalmente, venne fuori anche Edith Piaf, la sua “Padam padam” e altro... tutte cose che, messe insieme, hanno poi fatto venir fuori “Paname”. E “The girl fom Ipanema” ce l'avevo nella testa fin da piccolino... la sentivo per radio e quell' accidenti di voce femminile lì, di Astrud Gilberto, mi rodeva, la sentivo sensuale... e così da grande me la sono ritrovata, la canzone, sempre negli orecchi, e alla fine l'ho cantata. E poi, anni fa, per un carnevale, sono stato in Brasile e, parentesi non trascurabile, quando sono tornato mi sono fidanzato clamorosamente...
L.C. Con una brasiliana che ti aveva seguito “a Italia”?
P.P. No, no, no... quando sono tornato mi sono fidanzato con una ragazza africana che sta a Firenze, con la quale sono stato per sette anni, e che come tutte le donne africane è molto possessiva... ... e quindi chiaramente non ha più concepito che io potessi ritornarmene un po' di tempo in Brasile nonostante il mio grande amore per la musica. Quando ci siamo lasciati poco più di un anno fa, ho ricominciato, nelle mie serate di nuovo scapole, a frequentare la musica brasiliana a Firenze, in quei due o tre locali dove si suona la sera. Dopo un po' di caipiriñe e di capetas ho pensato di fare “Girl from Ipanema” ed è stata una cosa che ha spiazzato molti.... Piacevolmente, intendo... Ed è un pezzo che mi diverte fare e mi piace vedere la gente divertita, stupita dal sentirmelo fare. Il loro stupore è un incentivo... tant'è che nelle versioni “live” di queste cinque date della minitournée si è molto evoluta rispetto a quella che è nel CD. E in concerto, nella formazione dei Supercombo che è anche quella di “UDS” e che mi accompagna dal vivo, è entrato Ramingo alle percussioni, un altro toscano anche lui, della costa... e ogni sera sono successe belle cose nuove, belle scoperte, su “Girl........” , che è un classico...
L.C. Hai ascoltato per caso il disco di standards americani di Rod Stewart?
P.P. Rod Stewart, sempre ripassando dal Brasile, ha avuto qualche problemuccio con “tah - tah - tah tah tah tah” (e canticchia “d' ya think I'm sexy”...... ) ...Si è beccato una causa da un autore brasiliano!....
L.C. Non ne so niente... chi era?
P.P. Adesso non mi viene il nome...
L.C. Dovremo aspettarci un tuo CD di classici brasiliani, prima o poi? Magari dopo “Girl from Ipanema” almeno un singolo con “Wave”?
P.P. Non è escluso, perché no? Chissà...
L.C. Pelù e Mina. Cos' è che ti piace di Mina?
P-P. Il fatto che qualsiasi cosa canti, qualsiasi cosa faccia, sia quando sa essere ironica come nessun altro che nell'inquietudine di certe altre canzoni, o nel dolore di altre ancora, è sempre una forza positiva.
L.C. Pensa, è la stessa cosa che mi ha detto di te una ragazza che era accanto a me al tuo concerto ieri sera.
P.P. Bello! Bene. Molto bello!
L.C. Ti spettavi o avevi in mente una tua collaborazione con Mina? Ci avevi mai pensato?
P.P. No. Ma anche sì! Come tutti quelli che fanno musica. Perché per chi fa musica, al di là dei generi, una collaborazione con Mina è comunque sempre un'importante esperienza, un'importante operazione sotto il profilo musicale.
L.C. E com'è andata la tua “chiamata” sull'Olimpo luganese?
P.P. Guarda che Mina è più di una Dea, per davvero!
L.C. Lo so.
P.P. La prima chiamata fu dalla casa discografica. Dopo cinque minuti, squilla il telefono e mi saluta una vocina da ragazzina che diceva di essere Mina... Ma guarda questa ragazza, mi sono detto, e... non mi ricordo quali ma ho avuto un affollamento di pensieri... poi, credo di aver realizzato che era lei... e da lì, dopo, non ne sono più uscito...
L.C. Si trattava di “Stay with me”.
P.P. Sì, mi chiese se volevo fare un pezzo con lei. Puoi immaginare che indecisione nel dire “CLARO QUE SI !!! BAMBOLONA!!”
L.C. Sai che il pezzo è una “scoperta” della Benedetta, e che un primo testo italiano l'ho fatto io?... poi alla Mina non piacque e ne fece fare un altro da Morante. Che è un grande. Sono un suo fan.
P.P. Lo sono diventato anch'io.Permettimi di dirglielo da qua: “Bravo Morante! Scrivimi.”.
L.C. Ti aspettavi una convocazione da parte di Mina? Tu, così “Rock, Rock Rock, fortissimamente Rock”, quanta Mina c'era nel tuo panorama?
P.P. Anche se io mi ero già indissolubilmente legato alla causa Rock, Mina era già nel mio panorama infantile-adolescenziale, anche domestico... ...capitava quasi ogni giorno che i miei genitori si facessero la loro mezz'ora di Mina. Quindi, al di là delle mie scelte musicali personali, Mina fa parte del territorio sul quale ho sempre camminato. Ci sono sue canzoni che sono irrinunciabili al di là delle discipline musicali personali che uno pratichi, ripeto... Poi Mina l'ho molto vissuta anche come “Icona”. I miei amici gay mi hanno sempre aggiornato capillarmente, ci sono state feste, ci sono ancora serate con un immancabile super missaggio di Mina... con tre o quattro Mine che sbucano, vuoi dal bagno con microgonna e bigodini in testa cantando “Amor mio”, o dalla cucina col vestito di “Non gioco più” ed in mano la torta con le candeline accese, o a “bolle blù” con pennacchio da un lato come la pettinatura di Sanremo '61 cantando “Se mi compri un gelato”... sì, mi è capitato di documentarmi...
L.C. Gaby, una tua fun-fan di Mantova mi ha scongiurato di chiederti come è stato il primo impatto con Mina. Mi ha detto di chiederti se eri “palpitante”...
P.P. Io mi sono presentato molto tranquillo. Poi mi sono reso conto dopo della fortuna... di quello che mi era capitato...che mi stava capitando... Perché poi, in realtà, quando lei la incontri, è talmente... bella, semplice, naturale... Naturale, ecco il suo “atout”... Tant'è che non ho mai sentito dire il contrario da nessuno... e quindi questo vuol dire che lei “non ci fa”... ma “è” proprio così, che è così sempre... Del resto, se fingi, prima o poi una maglia ti scappa e tutto il lavoro si disfa, viene fuori la verità... con lei, non credo ci sia il problema... lei “è”.
L.C. Simpatia-affinità?
P.P. Non dimentichiamo che anche lei nasce rockettara! Simpatia, sì. Simpatia per tutto quello che è. Per il tipo di scelte, sempre. Grandissima star fuori dallo star-sistem, icona dentro un annullamento dell'immagine... E poi, so che ha passato momenti difficilissimi, con il sistema totalmente rivoltato contro di lei... e lei, sicuramente addolorata, ma muta come una dea, c'è passata attraverso fino a trovarsi tutti inginocchiati davanti. Brava! E nessuno più che abbia potuto dire qualcosa di critico contro di lei.
L.C. Giornata faticosa, quella del duetto?
P.P. Tutt'altro. Tutto liscio, puramente piacevole e velocissimo. Lei, il sole, mi ha ricevuto, Max ha dato i ritocchi per rendermi tutto più semplice, Carmine, il fonico, un prodigio... mi sono ritrovato dentro un organico affiatato, perfetto, costruttivo.. la cosa si è risolta in pochissimo tempo... in poco più di tre ore avevamo fatto tutto, cori compresi e missaggio... tu sai che è davvero poco. E poi rilassatezza, atmosfera ideale, benessere, ...lei che mi ha fatto due o tre foto di spalle, alla mia schiena, sì, alla parte più bassa... l'ha trovata molto fotogenica... (risata)
L.C. E poi?
P.P. Dopo qualche tempo mi chiamò. Mi disse che un suo amico mi aveva sognato e aveva sognato dei numeri e lei gli aveva detto di giocarli sulla ruota di Cagliari, “visto che ero sardo”... Invece quei numeri erano usciti, tutti, sulla ruota di Firenze.
L.C. Piero, grazie, so che ti aspettano tra poco a Torino. Dimmi un difetto di Mina.
P.P. Che qualche volta si sbaglia sulla cittadinanza degli altri. Io sono Fiorentino.
Mina mi disse: "Il più forte è il bassista, il più forte". Eravamo a Viareggio, stavamo ascoltando una cassetta che avevo registrato live qualche sera prima, in un locale jazz di Roma, con un appareccho di fortuna che era poco più che un tostapane. Era il 1978-79. Massimo Moriconi aveva si e no 23 anni. Quel bassista era lui.
Leggi tuttoMina ya me dijo hace unos veinte años que a Gigi Vesigna siempre le correspondería una consideración particular por lo buen compañero de viaje que siempre ha sido; un compañero discreto, reservado y honrado incluso en los momentos más dificiles. Hoy, por fin, encontraré a Gigi Vesigna, personaje fundamental en la historia de la crónica del espectáculo, gran mediador en la relación entre mundo de la música y público.
Mina me lo disse una ventina d’anni fa che a Gigi Vesigna sarebbe sempre spettata una considerazione particolare per quanto è sempre stato un ottimo compagno di viaggio, discreto e corretto anche nei momenti più difficili. Lo incontrerò oggi, finalmente,
Gigi Vesigna, personaggio di punta nella storia della cronaca dello spettacolo, grande mediatore nel rapporto tra mondo della musica e pubblico
Mina ha cantato undici sue canzoni. E altre sicuramente ne canterà. Lui ha assestato un bel po’ di altri ottimi colpi con brani cantati da pop.star e altri mostri sacri e altre collaborazioni assolutamente invidiabili. È titolare di un sito che si potrebbe dire prezioso, molto ben organizzato, da cui traspare una chiarezza di idee molto simile ad un talento naturale che va ad unirsi a quello di musicista e autore di testi forti e precisi.
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