Carissima Mina,
la ripresa del processo per l’omicidio di Balsorano mi ha particolarmente sconvolto. Tra nuove prove, accuse e ritrattazioni, l’unica cosa certa è che Cristina, una bambina di sette anni, è stata seviziata e uccisa. Quel gioco al massacro tra padre e figlio rende ancora più mostruosa l’intera vicenda. Sì, mostruosa, perché secondo me di mostri si tratta. Mi chiedo: la ferocia sta aumentando, stanno aumentando i “mostri” in questa nostra società civilizzata o è sempre stato così, ed è solo che adesso se ne parla di più? Anche se è contro i miei principi, a volte penso che, per chi si macchia di delitti tanto orrendi, l’unica punizione sia la pena di morte.
Gabriella C., Bologna
Cara Gabriella,
di fronte a vicende come questa è facile la tentazione di circoscrivere gli assassini nella definizione di “mostri”. Tentazione, peraltro, molto ben alimentata dai mass media che non ci risparmiano l’imperativo a omologare la loro categorizzazione. E la liturgia è, purtroppo, sempre la stessa. Si salta alle conclusioni, e con i forconi, con la sollevazione emozionale, con le bordate violentemente colpevoliste si invoca a gran voce la massima pena ancora prima di sapere la verità sull’accaduto.
Gli esempi sono numerosissimi. Ma il “mostro” ci rassicura. Rassicura noi, tranquilli cittadini che rispettano le leggi, pagano le tasse e che non fanno mai niente di male. E il sempre più frequente invocare addirittura la pena di morte come rimedio alla ferocia umana, altro non è che il nostro estremo tentativo di escludere dal cerchio dell’umanità chi si macchia del sangue innocente di Cristina e di troppe altre piccole vittime. E noi, riempiendoci la bocca con la solita storia della malattia mentale e della crisi di valori, esorcizziamo il male, che è sempre e comunque faccenda altrui.
Non è così. Siamo tutti complici di una catena di cedimenti, di trasgressioni, di colpe piccole e grandi. Esiste, quanto meno, una catena di bene non fatto, di amore non dato, di carità elusa, di grettezza sordida e quotidiana che si dilata dal nostro comportamento e crea una somma di iniquità che esce da noi e diventa un liquido, smisurato carcinoma che inghiotte chi, meno di noi, sa costruire difese contro il suo terribile potere di invasività. Noi ci illudiamo di aver trovato la scappatoia, attribuendo ogni gesto cruento che venga compiuto a quelle comode definizioni astratte, a quel comodo alibi che è la struttura sociale o la devianza psicologica. E non ci rendiamo conto che dentro quella struttura sociale viviamo anche noi, con tutto il nostro male quotidiano. Il “mostro” siamo anche noi. Nessuno è a priori salvo o libero dal male.
Certo, di fronte ai terribili fatti di sangue, possiamo anche tentare delle analisi sociologiche che portino ad attribuire le responsabilità alle strutture sociali sempre più disumane. Bisogna essere capaci di affondare lo sguardo ben più nel profondo di quello smisurato abisso che è il cuore dell’uomo. Ben più nel profondo delle colpe che si muovono in un pantano che porta anche il nostro nome. Altrimenti è incivile bagarre.
Il meccanismo è purtroppo sempre lo stesso: l’opinione pubblica è sempre pubblica, uniformata, omologata, affermata e divulgata prima e invece di essere la risultante di private critiche e di confronto consapevole.